
Un famoso aforisma del poeta contadino Wendell Berry recita: “mangiare è un atto agricolo ed ecologico”.
Niente di più vero, l’atto del nutrirsi dovrebbe essere il naturale completamento di quel processo che ha inizio sui campi per poi protrarsi nelle filiere di distribuzione e poi finire sulle nostre tavole. E’ assodato che l’alimentazione, soprattutto negli ultimi anni, è diventata parte integrante del life-style globale, almeno per i popoli più fortunati del cosidetto “primo mondo”, non è quindi solamente un bisogno di alimentarsi ma anche una vera e propria azione sociale condivisa in maniera esponenziale grazie all’avvento dei social network. Chi avrebbe mai pensato fino a pochi anni fa di fotografare in maniera seriale i propri pasti mantenendo un vero e proprio diario del desco quotidiano?
Anticamente la produzione agricola aveva come scopo principale quello di alimentare le comunità locali, con il passare del tempo le tecniche di produzione si sono via via affinate fino a raggiungere l’attuale livello tecnologico, arrivando ad un notevole innalzamento delle quantità di prodotto alimentare. Questo processo però grazie ad un distorto concetto di globalizzazione ha generato delle contraddizioni enormi, snaturando il rapporto che è sempre esistito tra il territorio, le comunità locali e la produzione agricola. L’agricoltore non è più colui che, grazie alla sua sapienza accumulata in anni di civiltà contadina, provvede al bisogno alimentare delle comunità, ma è semplicemente un anello di una catena produttiva che ha come unico scopo il profitto economico. Il cibo che in passato era nutrimento e sostentamento dell’uomo adesso viene edulcorato, contaminato e modificato geneticamente diventando causa di più svariate patologie. Il gusto di migliaia di esseri umani viene “ingannato” grazie all’uso spropositato di aromi artificiali, il colore degli alimenti spesso viene determinato dall’uso di coloranti, i profumi naturali sprigionati dai prodotti agricoli vengono replicati e sintetizzati artificialmente, insomma viviamo in una sorta di Matrix alimentare dove molti dei prodotti che mangiamo non sono altro che sintesi chimiche atte ad ingannare i nostri sensi.
Ora io mi chiedo e colgo l’occasione per rivolgere questo quesito all’Accademia dei Gerogofili: in questo scenario in cui il prodotto agricolo non è nient’altro che merce, i produttori ovvero gli agricoltori, che responsabilità hanno dal punto di vista etico, ma anche a questo punto politico?
In un territorio come quello italiano ricchissimo di eccellenze alimentari, che senso ha ostinarsi in produzioni monoculturali di alta resa ma scarsa qualità , soprattutto in un’ottica di competizione con paesi in grado di reclutare con estrema facilità mano d’opera a basso costo? (voce che incide moltissimo nei bilanci di un’impresa agricola).
Commenti
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.
Anche io non ho pregiudizi verso nessun prodotto! Se è buono è buono, se non è buono non è buono!
Il punto è che ci sono anche ottimi formaggi prodotti da agricoltura convenzionale, come la stragrande maggioranza del Grana Padano. A parità di stagionatura è impossibile distinguere un Grana convenzionale da uno biologico basandosi solo sul gusto. Già pochissimi sanno distinguere Grana da Parmigiano, faccio fatica anche io che sono assaggiatore Onaf!
Cari amici e colleghi del blog, ma io mi chiedo, quando ci sediamo a tavola a gustare un buon formaggio e bere un buon bicchiere di vino ci mettiamo a consultare tabelle, studiare le normative o facciamo analisi microbiologiche?
Quando parlo di “Buono” intendo sia sano che anche e soprattutto buono al gusto, e guarda caso i formaggi più buoni sono proprio quelli prodotti secondo metodi che se vogliamo possiamo chiamare naturali (allevamenti all’aperto e pascoli biologici, produttività “sostenibile” dell’animale etc etc).
Possibile che quest’aspetto, ovvero di produrre qualcosa di buono e sano, non passi neanche dall’anticamera del cervello di chi si approccia a lavorare in filiere agroalimentari?
Questo è il senso primario del mio post, che non tutti in effetti hanno colto.
Ciao Nicola, mi farebbe piacere tu dedicassi 5 minuti a leggere questo post. Se hai poco tempo vai subito al paragrafo “Il pecorino bio”. Credo sia un articolo simpatico che mette in luce e smaschera le “naturali” credenze che noi tutti abbiamo. L’articolo fa vede (non dimostra) come spesso abbiamo pregiudizi nel credere che un cibo bio sia più “buono” necessariamente di uno non bio, o simili. Poi ciascuno è libero di scegliere ciò che più preferisce, su ciò non discuto. Satuti.
Il link di cui al commento precedente è questo: http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/05/05/sotto-mentite-spoglie/
Ciao Pietro.
Certo bio non vuol dire automaticamente buono, a parte il discorso delle frodi che quello è il peggio del peggio, ci sono prodotti biologici che oggettivamente non sono buoni, ma questo dipende anche dalle qualità del casaro (per i formaggi) e dai gusti personali.
Comunque non parliamo di pecorini perché io vivo in una delle zone dove si fanno i formaggi pecorini più buoni d’Italia, e guarda caso quello che è risultato il migliore e che ha vinto diversi premi nella penisola è prodotto in un allevamento dove le pecore sono libere, senza neanche il pastore, in pratica si autogestiscono.
Gli animali pascolano a rotazione in terreni coltivati senza l’uso di alcun pesticida o prodotto chimico, ed il formaggio è veramente ottimo, non vorrei citare il produttore, anche se in realtà lo meriterebbe, per chè potrei essere tacciato di pubblicizzare qualcuno, ma se dovessi passare da queste parti in Calabria sarei felice di accompagnarti ad una degustazione, e potrai renderti conto da solo della differenza con un formaggio diciamo “convenzionale” da produzione intensiva.
Nicola, accetto di buon grado il tuo invito, lieto di assaporare i prodotti naturali di cui non dubito minimamente la bontà. Non ho alcun pregiudizio in merito, davvero. (Anche perchè io stesso coltivo il mio orto, in modo più che “naturale” in quanto l’unico “trattamento” che faccio è un po’ di letame, e quel che viene, viene; ma sono anche conscio che su grande scala il mio metodo non è neppur minimamente ipotizzabile
). Allo stesso modo saresti tu disposto a mangiare un paio di pannocchie bt, ovvero di mais gm?
Premetto che lavoro quotidianamente nelle stalle di vacche da latte.
Ricordo a pietro che le poste fisse non sono casi di delinquenza, ma sono il retaggio (ancora permesso) di un vecchio modo di fare agricoltura. Le moderne stalle a stabulazione libera sono arrivate solo nel dopoguerra, ma prima le stalle (tutte di piccole dimensioni) erano con le vacche legate. È un esempio di come il progresso tecnico abbia favorito la gestione delle aziende e allo stesso tempo il benessere animale.
Tornando alle qualità organolettiche, vi segnalo questo riassunto di una review scientifica che ha confrontato latte biologico e convenzionale.
Ciao Paolo, se non vado errato, la posta fissa (letteralmente intesa come incatenamento fisico alla rastrelliera) per i vitelli è vietata per legge ai sensi della Direttiva 2008/119/CE recepita con il D.L.vo 126/2011, tuttavia mancano riferimenti normativi chiari per la gestione dei bovini adulti e, in questo caso, bisogna far riferimento alla Direttiva 98/58/CE con relativo D.L.vo 146/2001. C’è da dire però che la posta fissa è consentita in casi particolari, come ad esempio per i controlli veterinari, ma è consentita anche per molti allevamenti, a cui forse tu ti riferivi, in virtù di una deroga alla normativa generale. Quindi è vero che non si commette reato, ma questa pratica è stata derogata proprio in funzione del fatto che molte piccole realtà hanno necessaria questa tipologia di gestione, e non potrebbero altrimenti allevare. Comunque hai ragione il mio esempio non è stato preciso. Ma il concetto che volevo veicolare risiede nell’adozione di un comportamento generalmente corretto nei confronti degli animali e le non correttezze da considerare errori da non seguire.
Lo studio che hai linkato è interessante. E’ quasi scontato però che il latte proveniente da Agr.bio abbia caratteristiche organolettiche superiori all’integrato, come lo sarebbe se si somministrasse foraggi freschi anzichè fieni (e in agr.bio buona parte del tempo le bovine sono al pascolo), dato che contengono molte più vitamine e composti che nel processo di fienagione vengono persi. Io mi interrogavo piuttosto, in riferimento al commento di Zurlo, dei composti organolettici del latte di bovine allevate in modo “naturale” e del significato di quest’ultimo termine.
Ciao Bernardo,
ma infatti si può fare tanta agricoltura di qualità, non è detto che solo i piccolissimi produttori debbano farla.
Naturalmente ci sarà meno prodotto finale, ma ti assicuro che per esempio nelle vigne biologiche, anche se si produce un terzo dei vigneti trattati, ci sono tante soddisfazioni per i produttori e soprattutto il loro vino vende, e non poco, e vende perché è buono.
Ciao Nicola,
Sono d’accordissimo!
il fatto è che ci deve essere una distinzione fra piccoli e grande, anche perchè se no il “piccolo” non esisterebbe piu da un pezzo, pero questa distinzione non dev’essere netta; mettiamola sul piano “aiutiamoci a vicenda” perchè siamo sulla stessa barca.
Buon pomeriggio,
Che il vino biologico sia più buono di uno prodotto in agricoltura integrata non lo so, ma siamo sicuri che sia più salubre?
se non sbaglio i composti rameici (diffusi in agricoltura biologica) sono tra le sostanze candidate alla sostituzione.
Edoardo, non mi sembra che i trattamenti rameici siano esclusiva delle produzioni biologiche.
Ci sono tanti produttori che si astengono a trattare la vigna con questi prodotti.
Non sono uno sostenitore del biologico tout court, sappiamo che ci sono normative piene di falle, ma il senso del mio articolo è da intendere come una presa di coscienza dei produttori soprattutto in materia di ETICA in agricoltura. Chi produce del cibo non è alla stregua di chi produce materassi.
Bisogna prendere atto che se le discussioni si esauriscono su tematiche esclusivamente rivolte a normative di fatto si sta dando una risposta alla domanda posta nel mio articolo.
Mi sono spiegato male. Intendevo dire di spiegarmi quali sono le proprietà organolettiche differenti del latte presenti negli animali allevati in modo naturale (vorrei anche sapere cosa intendi con il termine “naturale”). Inoltre ti posso dire che ho visitato numerosi allevamenti anche col mio professore di Produzioni zootecniche, che è veterinario, e non ho visto nè mai trovato menzione delle situazioni di cui tu parli, e personalmente non credo sia la prassi. Cioé: se si verificasse sarebbe un caso di delinquenza, ad esempio le poste fisse. Il caso dell’encefalopatia spongiforme dipendeva dal fatto che venivano adoperate farine ottenute da bovini infetti dal prione, ma non dalle caratteristiche degli alimenti in sè, quali foraggi o insilati che vengono strettamente controllati. Capita, invece, (paradossalmente?) che il mais coltivato in modo biologico (naturale?) abbia quantità di fumonisine tali da essere considerato pericoloso e cancerogeno, diversamente da quello trattato o transgenico che ne detiene ordini di grandezza in meno (e qua si torna al “potenziamento” dell’Agricoltura di cui tu parlavi, forse negativamente).
Gentile Zurlo, attendendo la risposta del professor Alpi ti chiedo se sei in grado di fornirmi qualche documento scientifico in merito a “mangimi industriali ricchi di tossine”, a “proprietà organolettiche” del latte oppure riguardo alle tecnologie “per impoverire la terra e torturare gli animali” di cui parli nei commenti precedenti? grazie
Salve Pietro,
Non è necessario alcun documento scientifico per provare queste cose che mi hai chiesto perché sono veramente alla portata di tutti, mi meraviglio che un giovane agricoltore non sappia cosa voglia dire “proprietà organolettiche”, basterebbe fare una semplice ricerca su wikipedia per rendersi conto che le proprietà organolettiche sono le caratteristiche di un alimento percepite dai nostri sensi, diciamo quella cosa che ti fa dire che un cibo è buono o meno buono, quindi queste proprietà possono essere applicate al latte come al vino come a tutti gli alimenti.
Per quanto riguarda le torture degli animali ti consiglio di visitare un allevamento intensivo di polli, mucche o qualsivoglia animale, magari lo puoi trovare anche dalle tue parti, vedrai che non ci sarà bisogno di documenti scientifici per certificare la sofferenza di quegli animali, fatti accompagnare da un veterinario che ti spiegherà quali sono le pratiche di routine di medicinali che vengono somministrati per far in modo che l’animale sopporti quel tipo di allevamento.
Per rispondere all’ultimo quesito, ovvero sui mangimi industriali, ricorderai qualche anno fa il morbo della mucca pazza, in rete ci sono molti documenti e puoi consultarli comodamente, il tutto è nato da agenti cancerogeni presenti nei mangimi dati alle vacche, e questo ha finito per uccidere diversi esseri umani e bandire alcuni tagli di carne per anni (fra cui la nostra amata bistecca alla Fiorentina).
Vorrei ricordare che i “produttori ovvero gli agricoltori” sono in prima istanza imprenditori, e precisamente imprenditori agricoli. E come tali sono soggetti, nel bene e nel male, alle leggi di Mercato (Agricoltura=settore economico Primario). Inoltre spesso si tende a idealizzare il ruolo e le funzioni dell’Agricoltura rimembrando il passato, ma dimenticando la dura realtà associata anche alla ‘semplice’ quotidianità (vedi Retrospezione rosea).
Salve Pietro, la mia domanda oltre a prendere in esame le implicazioni etiche è rivolta anche all’aspetto economico del problema delle colture estensive di bassa qualità, siamo sicuri che possiamo competere con nazioni che hanno una mano d’opera molto più economica ed una burocrazia molto più leggera?
Gent.mo Zurlo,
ci fa molto piacere che lei comunichi le sue convinzioni, su cibo e agricoltura, all’Accademia dei Georgofili che, come ben sa, è molto impegnata su questo fronte. I quesiti che lei pone sono esattamente quelli che ci vengono rivolti da molte persone sinceramente preoccupate dello “stato del pianeta”; anche lei, come molti, si chiede e ci chiede se sia più giusto perseguire una agricoltura intensiva oppure preservare la biodiversità.
Vorrei condividere con lei questa opinione: se siamo persone che vivono il loro tempo, assumendo la responsabilità di assicurare il miglior futuro possibile alle prossime generazioni, non abbiamo la possibilità di scelte nette. Il perché mi sembra ovvio. Se mi è consentito di risponderle con una mia domanda, le chiedo a mia volta: lei crede, in linea con buona parte dell’ambientalismo mondiale – cui fa parte il citato Wendell Berry- che sia possibile sfamare il mondo depotenziando l’agricoltura? Mi creda, gli studi in proposito non mancano; di fronte alla assoluta necessità di salvaguardare l’ambiente, abbiamo l’altro obbligo morale, quello di “nutrire il pianeta”. Fare fronte a questa doppia esigenza è compito duro, che va ben oltre una facile scelta di campo.
Rimango a sua disposizione per ogni ulteriore approfondimento in merito.
Amedeo Alpi – Università di PISA
Salve,
la ringrazio per la pronta risposta, io credo che prima di rispondere alla sua domanda sarebbe giusto chiarire cosa significa depotenziare l’agricoltura.
Se depotenziare l’agricoltura significherebbe evitare di imbottire le mucche da latte (per fare un esempio) di antibiotici e di mangimi industriali ricchi di tossine io sarei favorevole a questo depotenziamento.
Queste pratiche costringono l’animale a continue cure mediche e diminuiscono fino a 3 volte la sua aspettativa di vita.
Naturalmente il latte prodotto da questi animali non avrà le proprietà organolettiche di quello prodotto da quelli che sono stati allevati in maniera più naturale, quindi ne risentirà anche molto il prodotto finale.
Alla luce del fatto che questo latte prodotto in maniera così innaturale ci viene poi multato dall’unione europea per sovrapproduzione (caso quote latte) e senza neanche citare i casi del settore agrumicolo dove oramai le arance finiscono più nella spazzatura che nei mercati, siamo sicuri che proprio tutti sentiamo questa responsabilità di nutrire il pianeta?
Io sono favorevole all’uso della tecnologia in campo agricolo, ma vorrei che sia messo in chiaro l’uso che si fa di questa tecnologia, perché se serve per impoverire la terra e torturare gli animali, non credo che questa tecnologia possa essere di molto aiuto al pianeta e soprattutto a noi stessi.
Niente di piu vero!!Il problema sta proprio nell’impossibile coesistenza tra due agricolture e culture diverse: quella intensiva ed industriale e quella rappresentata da piccoli produttori come me o te che in qualche maniera sfidano i primi con la Qualità!!!!!!
Premettendo che questo è il mio parere e come tale non vuole minimamente offendere nessuno nè tanto meno sollevare polemiche, su un tema a mio parere da “bar”.
proprio la coesistenza fra le due agricolture ha fatto in modo che il settore primario Italiano sia uno dei più proficui al mondo (punto di vista economico) ed invidiato (punto di vista qualitativo).
I grandi imprenditori agricoli, tanto odiati dai “piccoli agricoltori”, a loro parere “unici paladini della qualità alimentare”, hanno costruito, con investimenti finanziari, ma sopratutto sociali e politici(mettendovi faccia e reputazione), il sistema agricolo per cui oggi tutti, e ripeto tutti gli agricoltori italiani tanto si autoelogiano nel mondo.
Qui a mio parere sta il problema, pensare che queste due forme di agricoltura, badando sempre al rispetto della natura, non possano coesistere; è appunto questa coesistenza che porta allo sviluppo di un impresa.
Anche Salvadore Ferragamo era un piccolo artigiano, che produceva 50 paia di calzature all’anno, di grandissima qualità, non per questo ha impedito alla sua azienda di evolversi fino al punto di entrare in borsa, mantenendo sempre una linea qualitativa. Coesistenza e competitività fra le due forme di agricoltura consentiranno di accrescere la qualità.
L’agricoltura io la vedo come passione, come unione, come amicizia, come sana competizione; i piccoli produttori lo stesso, tralasciando però l’unione, ed ahimè puntando verso un’egoismo agricolo da Brividi.