
La domanda, a livello globale, di Proteine Ricombinanti (anticorpi monoclonali, antigeni per vaccini, ormoni, reagenti diagnostici) e Molecole particolarmente rare da parte delle Case Farmaceutiche per la realizzazione di farmaci da utilizzare in diverse terapie medicali è sempre più esigente.
Lo stesso discorso vale anche per le aziende coinvolte nell’ambito dell’Industria Alimentare/Nutraceutica e Scientifica.
Queste, hanno la necessità di aderire a soluzioni più sostenibili ed innovative per sintetizzare tali proteine e molecole in grandi quantità ma con un impatto ambientale minimo e un abbattimento dei costi di estrazione e purificazione, sviluppando piani economici altamente vantaggiosi.
Proprio per questo nasce l’innovativa idea di sfruttare le piante carnivore come dei veri e propri bioreattori per la sintesi delle molecole di interesse.
Plant Molecular Farming
Le Piante possono essere considerate come delle vere e proprie fabbriche viventi, e tramite l’ingegneria genetica si è resa possibile la produzione di molecole eterologhe all’interno deisistemi vegetali, dando origine, nel 1986, al fenomeno chiamato “Plant Molecular Farming”, cominciato con la produzione del primo farmaco ricombinante (l’ormone della crescita umano) sintetizzato in tabacco e in girasole.
I Vantaggi nell’utilizzo delle piante come bioreattori sono molteplici! Le molecole sintetizzate in questo modo e usate, ad esempio, per la produzione di farmaci, non comportano reazioni immunogeniche conseguenti al consumo da parte dell’uomo e, inoltre, coltivare piante è certamente economicamente più vantaggioso rispetto ad altre piattaforme quali le cellule di mammifero, che richiedono condizioni di crescita estremamente controllate e dispendiose.
Ad oggi, sono molteplici le specie di piante impiegate per la sintesi di proteine ricombinanti estratte poi dai rispettivi tessuti (es. Nicothiana tabacum, Medicago sativa, Arabidopsis thaliana). Tuttavia, queste richiedono complessi e costosi protocolli di estrazione e di purificazione delle molecole, impattando, in alcuni casi, fino all’80% del costo di produzione, rendendo il processo tutt’altro che vantaggioso.
Piante Carnivore come Bioreattori
E’ così che nasce l’idea di superare, tramite l’utilizzo delle piante carnivore, le criticità sopra riportate, aumentando la produzione proteine totali solubili (PTS) da pianta, riducendo i tempi e i costi di realizzazione del processo, che risulterà economicamente vantaggioso rispetto a quello di tutte le altre piattaforme vegetali. Inoltre, usufruendo delle molteplici proprietà di questa pianta, risulta possibile isolare e rendere disponibili una serie di biomolecole dalle interessanti applicazioni.
È possibile quindi puntare sulla produzione non solo di molecole ad alto valore farmaceutico, ma anche nutraceutico, sfruttando un processo interamente naturale.
Focus sulle piante carnivore
E’ curioso pensare alle piante carnivore, che da sempre affascinano biologi, botanici, fisiologi e più in generale un pubblico di nicchia, come piattaforme vegetali per la produzione di proteine ricombinanti. Le trappole di cui sono provviste sono molto diverse fra loro, ma le più comuni sono quelle ad Ascidio (in foto), a forma di “brocca”, che contraddistinguono le piante del genere Nepenthes.
Con più di 160 specie, sono diffuse principalmente nel Sud-Est asiatico, occupando ambienti caldi, luminosi e particolarmente umidi tipici di una zona tropicale. Possono raggiungere dimensioni notevoli e vantare in molti casi una capienza dell’ascidio fino a 2-3 litri di fluido digestivo necessario a digerire le proprie prede. Tra le specie di carnivore spicca la Nepenthes alata, che vanta tra le trappole più capienti, permettendo una produzione di circa 10kg di proteine ricombinanti all’anno: 10L/m2 di proteine totali solubili. La facilità di coltivazione di queste piante, il numero di ascidi per pianta (circa 16), la ridotta superficie di coltivazione di cui necessitano, il volume di fluido prodotto, le annovera tra i bioreattori vegetali del futuro.
A questo proposito, modificandole geneticamente, è possibile far esprimere loro un gene di nostro interesse ed indirizzare il rispettivo prodotto nel liquido digestivo che normalmente secernono.
Quali settori coinvolgere con le Piante Carnivore
1. Settore Farmaceutico
APO A-1 è una proteina HDL che trasporta il colesterolo al fegato, permettendone l’eliminazione dall’organismo. Infatti, un deficit di questa proteina porta alla formazione di placche aterosclerotiche e a malattie cardiovascolari. È indicato, infatti, assumere l’APO A1 comecostituente di alcuni farmaci.
In passato sono state fatte delle ricerche per trasferire la produzione di questa proteina in piattaforme vegetali come ad esempio il tabacco, ma il risultato finale ha condotto ad una produzione inferiore all’1% delle PTS, troppo bassa rispetto ai tempi e alla difficoltà di estrazione e purificazione.
Tuttavia, grazie all’utilizzo delle piante carnivore, si può indirizzare la proteina alla secrezioneesogena nel fluido degli ascidi, ovviando alle problematiche prima evidenziate e garantendo un recupero al termine del processo che si esplica semplicemente svuotando gli ascidi, permettendone quindi una sintesi in grandi quantità.
2. Settore Nutraceutico e Alimentare
Anche le aziende appartenenti al settore nutraceutico, che formulano integratori ed additivi alimentari naturali per migliorare la salute dell’uomo, potrebbero beneficiare di questa innovazione.
Si contano oltre 32 milioni di italiani che usano abitualmente integratori, e tra il 2019 e il 2020 nel nostro Paese si è registrato un aumento del loro consumo del 2,5% con oltre 256 milioni di confezioni vendute, per un valore che supera i 3,5 miliardi di euro.
A tal proposito, si annovera la Nepenthesina, un enzima naturalmente secreto nel fluido digestivo delle piante carnivore del genere Nepenthes che, grazie alla sua attività, potrebbe garantire un miglioramento della salute in persone affette da Celiachia, malattia cronica che interessa circa l’1% della popolazione Europea, la quale intolleranza al glutine in seguito ad ingestione di diversi prodotti a base di cereali. I soggetti interessati da questa problematica si trovano spesso costretti ad adottare diete prive di glutine che, d’altra parte, comportano l’acquisto di cibi piuttosto costosi e talvolta poco gratificanti organoletticamente.
La Nepenthesina, contrariamente alle proteasi intestinali dei celiaci, riesce abilmente a degradare non solo le proteine del glutine, ma anche i peptidi tossici principali responsabili della sintomatologia della malattia. La nepenthesina potrebbe essere quindi impiegata per la formulazione di integratori alimentari e come additivo industriale di cibi contenenti glutine e/o mixato a cibi comuni come sale, zucchero, spezie etc.
Inoltre, la Nepenthesina può avere anche una multi-azione, esplicando un effetto nel trattamento delle infezioni batteriche che coinvolgono il tratto gastrointestinale.
3. Settore della Ricerca
La stessa Nepenthesina, precedentemente menzionata, si candida come sostituto ottimale di un’altra proteina chiamata Pepsina, utilizzata nelle analisi di spettrometria di massa in ambito di ricerca scientifica. Infatti, la molecola estratta dalle piante carnivore garantirebbe performance migliori della Pepsina, grazie ad una maggiore resistenza alle alte temperature e a bassi valori di pH bassi. Anche in questo caso il vantaggio è dato dall’uso di piattaforme vegetali, quantità di produzione garantita da piante transgeniche sovra-espresse ed infine, la sostenibilità della soluzione.
Inoltre, le Figure Professionali per mettere a punto un sistema di produzione basato sulle piante carnivore sarebbero solamente due: un Biotecnologo, coinvolto nella ricerca e messa a punto dei protocolli di produzione ed estrazione delle proteine; ed un Tecnico di laboratorio, incaricato nella scelta, organizzazione, manutenzione degli strumenti di laboratorio, e nella registrazione dei dati, nonché di garantire efficienza e precisione degli esperimenti scientifici
In Conclusione
La pianta carnivora, rispetto a tutte le altre piattaforme vegetali ad oggi utilizzate (es. Tabacco) non viene distrutta e neanche significativamente compromessa dalla raccolta della molecola di interessa (che viene recuperata semplicemente svuotando le trappole) e può quindi essere conservata in coltura per altre raccolte successive.
Di conseguenza, sembra possibile raccogliere tra 9 e 14 litri di secrezioni / m2 / anno, in altri termini, tra i 10 e 15 kg di proteine/ettaro all’anno.
Ovviamente questa resa è bassa rispetto alla resa proteica ottenuta con altre piante: un ettaro di mais può produrre circa 900 kg di proteine all’anno! Tuttavia, il vantaggio delle piante carnivore è legato alla facile raccolta delle proteine ricombinanti prodotte nel fluido extracellulare.
Inoltre, la diversità proteica delle sue secrezioni enzimatiche è relativamente semplice: meno di dieci proteine. Quindi, rispetto ad una proteina prodotta in un organo vegetale, l’estrazione sarà facilitata. Infatti, è noto che queste fasi di estrazione e purificazione rappresentano circa l’80% del costo di produzione di una proteina di interesse nei sistemi di espressione delle piante classiche. Quindi, risulta evidente la potenzialità della piattaforma per produrre proteine ricombinanti a basso costo.
Articolo realizzato con la collaborazione di:
Vittorio Manca, Valeria Castaldi, Martina Chiara Criscuolo, Carmine Fruggiero;
Studenti del Corso Magistrale “Biotecnologie Agro-Ambientali e Alimentari”,
Università degli Studi di Napoli Federico II
Per approfondimenti:
– A. Barta et al. Plant Molecular Biology 1986 6:347-357, 1986. The expression of a nopaline synthase – human growth hormone chimaeric gene in transformed tobacco and sunflower callus tissue.
– Xinyi Li, Zhihui Fu et al. 2020. Influence of multiple apolipoprotein A-I and B genetic variations on insulin resistance and metabolic syndrome in obstructive sleep apnea, Nutrition & Metabolism, 10.1186/s12986-020-00501-8, 17, 1.
– Lee, L., Zhang, Y., Ozar, B., Sensen, C. W., & Schriemer, D. C. (2016). Carnivorous nutrition inpitcher plants (Nepenthes spp.) via an unusual complement of endogenous enzymes. Journal of proteome research, 15(9), 3108-3117.