Sergio, viticoltore di Cirò Intervista

Il vino si fa dall’uva, l’uva dalla vigna, la vigna dalla vite, la vite si pianta nella terra.

Non c’è voluto molto per spiegarmi cosa vuol dire “terroir”, ovvero il termine che letteralmente in francese significa: “terreno” o “suolo”, ma ha un significato molto più profondo e complesso quando questo termine si accosta alla parola “vino”.

Noi siamo abituati ad uno stupido concetto che mischia insieme omologazione, democraticità e globalizzazione, pensando che più un prodotto sia distribuito in larga scala, più sia identico a se stesso, minore sia il costo per il consumatore, meglio sia la resa.

Parlando di vino questo concetto si traduce nelle migliaia e migliaia di bottiglie che vediamo sugli scaffali del supermercato, sempre con lo stesso sapore, omologato chimicamente, identico vendemmia dopo vendemmia, che poi alla fine finisce per omologare noi, il nostro gusto, costringendoci subliminalmente a cercare sempre quel sapore, quell’aroma, che a conti fatti ci porta sempre nel cercare quel vino che “si fa bere” piuttosto che quel vino che “ci piace bere”.

Terroir, significa territorio, quel dato territorio, ed in quel dato territorio quella particolare vigna, ed in quella particolare vigna quel particolare vino. E non ci può essere un altro vino simile a quello, di quel dato territorio di quella particolare vigna. E quel vino cambia, e cambierà, vendemmia dopo vendemmia, a volte in bene a volte in peggio, ma sicuramente non sarà mai simile all’annata precedente, semplicemente perché ogni annata è differente, così come noi siamo differenti ogni annata.

Qualche giorno fa ho incontrato un viticoltore, che parla più di vigna che di vino, ma che fa un buon vino grazie ai “lieviti indigeni” di una cantina che ha più di 50 anni, ed alle sue uve che cura alla vecchia maniera, con pressatura soffice, usando antichi macchinari, e che non produce milioni di bottiglie, ma solo quelle che riescono a dare le sue vigne, che parlano di lui tanto quanto lui parla di loro.

Il suo è un vino di terroir, così come altri nel territorio di Cirò in Calabria, dove giace una vera miniera enologica dimenticata che piano piano sta facendosi (ri)scoprire, perché lì si produce vino sin dai tempi della Magna Graecia, e si continua ancora a farlo.

Qui di seguito l’intervista:

 

Ciao Sergio, ci racconti un po’ la tua storia da vignaiolo?

Io nelle vigne ci sono nato, ci sono cresciuto, abbiamo sempre fatto il vino, sin dai bisnonni, quindi c’è sempre stata questa passione in famiglia. Mi ricordo sempre le vendemmie, non si può vivere un anno senza la vendemmia. E’ una passione che hai dentro a cui non puoi rinunciare. Una volta quando avevamo già 8 o 9 anni si andava in vigna, a 11 già mio padre lavorava in vigna. Poi a 20 anni ho iniziato a fare altri lavori, ma presto sono tornato a portare avanti l’attività di famiglia, e per la prima volta abbiamo iniziato ad imbottigliare, mio padre ha sempre venduto il vino sfuso qui in cantina. Per me è un discorso di passione e non di guadagno, per guadagnare mi conveniva fare quello che facevo prima… ma ora sono contento di aver fatto questa scelta. Lavoro i vini come faceva mio padre, mantenendo i vigneti vecchi, non modificando il vino autoctono, cioè il gaglioppo, cercando di tirare fuori dal gaglioppo il meglio.

Parliamo un po’ del tuo vino.

La mia prima preoccupazione è di avere una vigna sana ed equilibrata, un’uva sana, una giusta maturazione. Sulla vigna vecchia ad alberello facciamo un chilo e 200 grammi a vite, quindi siamo ai minimi di produzione e da lì esce fuori il gaglioppo che ho in mano (mi mostra orgogliosamente il bicchiere colmo ndr), un vino che parte dalla vigna, arriva in cantina, fermentazione spontanea, come se facessi il vino in casa praticamente, finita la fermentazione in cemento, facciamo il primo travaso a caduta e lo facciamo riposare 18 mesi prima dell’imbottigliamento.

Che caratteristiche ha il tuo vino?

Sicuramente il mio è un vino che ha un’identità, che non è uguale ad altri vini, già la fermentazione spontanea fa uscire il vino con un impronta non standardizzata. Il consumatore deve capire che ogni terreno, ogni vigna, ogni zona fa un vino diverso, questa è la bellezza, il mistero del vino. Avere un vino standard è come una bevanda qualsiasi, non ha senso. Noi facciamo esprimere il territorio, naturalmente ciò ci abbassa la resa, non puoi fare grosse quantità. Io per esempio faccio solo un rosso ed un rosato, ma il rosato lo faccio perché ho un vigneto che naturalmente si presta per questo tipo di vino, un rosato che si distingue per struttura e profumi.

Il tuo vino quindi rispecchia il tuo territorio?

Assolutamente, non solo il territorio, ma una zona precisa del territorio, il rosso per esempio lo faccio dalla zona Piciara e Piane di Franze.

Che pratiche utilizzi per realizzare il tuo vino?

Pratiche tradizionali, i miei sono vigneti stretti, sostenuti con pali di legno, la terra la lavoro con la zappa o motozappa, quindi si fa il vignaiolo come una volta, è un lavoro duro, ci vuole più tempo. In cantina utilizzo la pressa manuale idraulica, per quello che noi produciamo ci bastano questi attrezzi antichi, così diminuiamo anche l’impatto ambientale, usiamo meno energia, è quello che si faceva una volta.

 

Molti tacceranno Sergio, me e quest’articolo di “romanticismo agricolo”, eppure non c’è niente di più arretrato dell’idea di un futuro meccanizzato ed alienante, dove tutto è uguale ed in serie. Il futuro a mio avviso non è tanto scontato e dipende principalmente da quanta biodiversità riusciremo a salvaguardare, e nel frattempo godiamocene i frutti di questa biodiversità, perché la natura è magnanima con chi la rispetta e non la violenta, infatti è a questi che riserva i suoi frutti migliori, come un buon bicchiere di vino.

Sergio, viticoltore di Cirò

Sergio, viticoltore di Cirò

 

 

 

 

 

 

 


Nicola Zurlo

“L’unica agricoltura possibile è quella che nasce dall’alleanza tra l’uomo e la natura.”

Vivo in Calabria, a Crotone. Ho 30 anni, la mia formazione è prettamente legata al mondo del cinema ma da qualche anno sto iniziando ad interessarmi di agricoltura lavorando nell’azienda di famiglia. Ho riscoperto un antico agrumeto, un tesoro di biodiversità da cui sto iniziando a produrre delle marmellate. Ancora non sono un agricoltore ma è questa la direzione in cui sto lavorando. Sono molto impegnato con l’associazione Slow Food. Nella mia vita ho viaggiato parecchio, sono stato a Roma diversi anni, Milano, Madrid, Londra ed infine sono tornato alla mia terra. Gestisco anche un agriturismo, la nostra antica masseria costruita dai miei antenati nel 1750. La mia famiglia fa agricoltura da sempre, ma c’è stato un salto generazionale che ora sto tentando di colmare.

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