La crescente acquisizione di terre coltivabili e non in molte aree del pianeta ha registrato negli ultimi anni un rapido sviluppo e, come ampiamente dimostrato dalla letteratura scientifica internazionale e nazionale, sembra essere un fenomeno collegato alla sicurezza alimentare, allo sviluppo delle filiere bioenergetiche ed a meccanismi di speculazione finanziaria conseguente, nonché alla recente crisi economica. La necessità di raggiungere l’autosufficienza alimentare ha, infatti, spinto molti governi ad incentivare gli investimenti esteri volti all’acquisizione di vaste aree da destinare alla produzione di commodities agricole. Anche l’esigenza di raggiungere una maggiore autosufficienza energetica, conseguente al crescente depauperamento dei combustibili fossili, è stata una delle cause che ha spinto molte società che operano nel settore energetico ad investire sia entro i confini nazionali sia all’estero. In ultimo, la recente crisi economica e finanziaria che dal luglio del 2007 ha investito tutti i settori di attività, ha spinto gli speculatori finanziari ad investire nel bene terra in quanto considerato come un bene rifugio che in particolari fasi di recessione economica mostra una maggiore resistenza agli shock esogeni.
Si è diffuso, in questo modo, un nuovo fenomeno che sta alimentando il dibattito internazionale, politico e scientifico, per le conseguenze allarmanti e gli innumerevoli risvolti che si ripercuotono sul piano economico, politico e sociale dei Paesi interessati: il land grabbing o “accaparramento della terra”.
Si tratta di acquisizioni fondiarie, generalmente su larga scala, che si verificano in totale assenza del consenso libero, preventivo e informato di coloro che utilizzano la terra, senza aver condotto un’adeguata valutazione sociale, economica e ambientale, realizzati in mancanza di contratti trasparenti che specifichino impegni chiari e vincolanti sulle attività da esercitare sul sito, sui risvolti occupazionali sugli eventuali benefici e le ripercussioni riguardanti le comunità locali interessate. Tali accaparramenti di terra hanno interessato ed interessano in misura prevalente le aree più povere del Mondo (principalmente i Paesi in via di sviluppo e sottosviluppati) in cui la ricchezza di terre fertili attrae gli investitori stranieri, come i governi in cerca di sicurezza alimentare, le multinazionali dell’agrobusiness interessate a creare piantagioni per produrre biocarburanti e gli istituti finanziari in cerca di guadagni sicuri.
Intere aree, in origine destinate alla produzione di cibo o ricoperte di foreste o torbiere, sono state convertite a colture per la produzione di biocarburanti o per prodotti alimentari da destinare all’esportazione, mettendo così a repentaglio la sicurezza alimentare delle comunità locali e costringendo queste ultime allo spostamento forzato, essendo incapaci di far valere i propri diritti sulla terra.
Sono prevalentemente investimenti effettuati nel settore agricolo da operatori per la gran parte stranieri, che in molti casi riportano alla memoria forme di sfruttamento delle risorse già viste in passato, come durante il colonialismo, con una differenza rilevante: la corsa alla terra oggi non si realizza con colpi di cannone o invasioni di eserciti, come in passato, ma attraverso il dialogo tra governi e soggetti investitori.
Bisogna mettere in evidenza che gli investimenti in agricoltura sono importanti e fondamentali per un reale rilancio ed una effettiva competitività del settore agricolo, nonché per i risvolti positivi che si possono verificare come l’occupazione e l’aumento di reddito delle popolazioni rurali. Tuttavia è importante tenere conto delle aspettative e dei desideri di coloro che vivono in quei luoghi e che hanno una propria cultura, delle proprie tradizioni e degli stili di vita molto diversi da coloro che tentano di stravolgerli. Molto spesso, come è confermato da diversi casi reali, chi intraprende la corsa alla terra spesso non tiene conto che le risorse non devono essere oggetto di speculazione, ma di condivisione.
Sicuramente, andrebbero incoraggiati quegli investimenti agricoli che contribuiscono positivamente allo sviluppo economico del Paese locatore, creando benefici non solo per le società e i governi stranieri, ma anche per le povere popolazioni locali. Dovrebbero essere sempre garantiti, dunque, dei negoziati trasparenti in ambito di vendita o di locazione di terreni agricoli a soggetti pubblici e privati, e stabilite delle politiche di investimento per garantire la sicurezza alimentare delle popolazioni indigene. Fondamentale dovrebbe essere, infine, il coinvolgimento dei leader locali e delle comunità in cui insistono le terre oggetto di acquisizione da parte degli investitori stranieri.
Per un maggiore approfondimento della tematica seguite questa puntata di Report del 18/12/2011:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ed703d3b-6276-4f49-8b55-5b1de4fdd21a.html#p=
Commenti
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Ciao Antonio, articolo interessante; la puntata di report l avevo vista e ne vale realmente la pena.
Lo stesso Bill Gates aveva rilasciato un intervista qualche anno fa dicendo che, l’agricoltura svoltasi in ogni forma e rispettando le circostanze intaccate, è stata alla base della nascita di tutte le civiltà e lo sarebbe stata anche in futuro. Cito qui le sue parole:”Gli investimenti nell’agricoltura sono la miglior arma contro la fame e la povertà, e intorno ad essi passa la linea di demarcazione fra la vita e la morte per centinaia di milioni di persone. Se volete prendervi cura dei più poveri e sfortunati, dovete prendervi cura dell’agricoltura”.
La domanda che sorge spontanea è “ma si tratta davvero di sicurezza alimentare?”