
Alcuni giorni fa in Senato la professoressa nonchè senatrice a vita Elena Cattaneo ha fatto un intervento di una decina di minuti in cui ha efficacemente sintetizzato lo stato dell’arte in Italia per quanto riguarda Ricerca scientifica pubblica, organismi geneticamente modificati e sperimentazione in pieno campo.
Un intervento pulito e onesto durante il quale la Senatrice ha messo a nudo, oltre all’ipocrita contraddizione dell’importazione/non-coltivazione, gli scempi perpetrati nei confronti nella pubblica Ricerca italiana. Ha espressamente denunciato che vietare la Ricerca, è censurare la libertà d’espressione: si lede un diritto fondamentale e ha compuntamente ricordato gli studi trentennali del professor Eddo Rugini dell’Università della Tuscia letteralmente andati in fumo il 12 giugno 2012, e con essi kiwi, ciliegi, ulivi modificati per resistere ad alcuni parassiti o per tollerare meglio la siccità.
Cattaneo ha così messo in luce come l’aggressione e lo smantellamento della pubblica Ricerca, affiancati all’inasprimento delle regolamentazioni, si siano tradotti in un paradossale rinculo a favore di colossi multinazionali. Allo stesso tempo ha anche rammentato come le applicazioni delle biotecnologie agrarie siano uno straordinario strumento, e in alcuni casi l’unico, in grado di salvaguardare la biodiversità locale. Ha portato l’esempio del pomodoro San Marzano, irrimediabilmente affetto da virus quali CMV, TSWV, CAMV.
Tuttavia ciò che fa più male è aver rinfacciato all’Italia di essere stata, tra gli anni Novanta e Duemila, all’avanguardia nel settore delle biotecnologie agrarie proprio per lo studio della protezione dei prodotti tipici, del Made in Italy e come la miopia più grande sia quella di non voler riconoscere che i ricercatori italiani, nei centri di ricerca pubblici, abbiano lavorato e lavorino proprio per risolvere tali esigenze.
Per ragioni di spazio non starò a descrivere l’intervento in modo completo [che trovate qua], anche se sarebbe istruttivo scriverselo su un paio di fogli e ripeterlo al alta voce, quotidianamente, in ogni occasione, dai talk show serali alle riunioni delle associazioni di rappresentanza agricole.
Bene, mi soffermerò unicamente sul particolare della malattia fungina del melo, la ticchiolatura, e sulla storia del professor Silviero Sansavini dell’Università di Bologna.
Oggi per difendere le produzioni di mele che comunemente consumiamo gli agricoltori devono irrorare i campi fino a una trentina di volte impiegando formulati fitosanitari con importanti ricadute economiche ma soprattutto ambientali.
Il professor Sansivini è riuscito ad isolare in un’accessione selvatica di melo un gene di resistenza alla ticchiolatura, denominato Vf. Qui sorge il problema: il trasferimento del gene di interesse tramite breeding tradizionale, ossia tramite reincrocio, oltre a richiedere moltissimi anni, è poco efficace perchè con questa tecnica viene veicolato oltre al nostro gene anche moltissimi altri che inficiano specialmente le caratteristiche organolettiche della varietà prescelta.
Ecco allora che entrano in gioco le applicazioni di ingegneria genetica. Si può infatti isolare il singolo gene e trasferirlo nel genoma della pianta che ne è priva, ed oggi quest’azione può essere fatta in modo mirato e senza controindicazioni. Proprio ciò che ha fatto il professor Sansavini che ha sviluppato una varietà di Gala resistente alla ticchiolatura, ma non avendo mai ottenuto l’autorizzazione da parte del dicastero competente per la sperimentazione in pieno campo, il frutto di questo studio, volutamente non brevettato, è stato raccolto e valorizzato da altre Nazioni come ad esempio Olanda e Svizzera.
Oltre a ciò è opportuno far notare anche la grossolanità del panorama normativo europeo in relazione alla classificazione dei metodi di miglioramento genetico. Ancora oggi infatti la tecnica della cisgenesi (ovvero il trasferimento di geni da una pianta ad un’altra pianta della stessa specie) è indissolubilmente legata alla regolamentazione della transgenesi.
p.s. Qua trovate il video completo dell’intervento della senatrice Elena Cattaneo
Commenti
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La senatrice compie sforzi davvero apprezzabili, ma temo che predichi nel deserto. Il senatore Antonio Razzi è in buona buona compagnia: poco tempo fa si è tenuta una manifestazione imbarazzante contro le scie chimiche. In pieno giorno. Appena si pronuncia la parola genetica, gli animi si inquietano. E tu parli di cisgenesi? Il primo passo dovrebbe essere una rivisitazione delle terminolgie. E, a seguire, la diffusione di informazioni con nuove modalità: un buon esempio, credo, possa essere l’iniziativa dell’Università Bicocca di Milano con gli aperitivi scientifici nei bar della zona. Senz’altro la singola giornata non convincerà nessuno che gli OGM non sono alieni pericolosi, ma potrebbe essere un buon modo per seminare informazioni corrette e trasformare la presenza dell’università in un diffusore di cultura e non solo di benessere economico. Gli atenei dovrebbero essere i primi a spargere conoscenze, mentre ora sono visti come motori economici. Inoltre le attività delle zone coinvolte non dovrebbero avere difficoltà perché accrescerebbero il loro business già centrato sull’università.
Lì magari si potrà parlare di cisgenesi.