
Per quanto possa sembrare strano, fare patti, infrangerli e affrontare la dovuta punizione fa parte della vita delle piante quanto lo sono per noi. Toby Kiers, professoressa presso l’ Amsterdam University, insieme ai suoi colleghi ha riscontrato forti indicazioni che l’intervento umano, attraverso il miglioramento genetico, ha aiutato dei batteri a farla franca proliferando a scapito delle piante. I ricercatori sono giunti a questa conclusione a seguito di uno studio comparativo con piante di soia in cui le cultivar di recente sviluppo si sono dimostrate meno efficienti nell’ assorbimento dei nutrienti rispetto a cultivar più datate.
La questione riguarda la famiglia delle leguminose, che comprende ad esempio fagiolo,soia, erba medica, arachide, ed un gruppo di batteri che vivono nel suolo (rizobatteri). Tra questi ultimi e le suddette piante esiste un rapporto basato su benefici reciproci, noto anche come simbiosi, in cui la pianta fornisce cibo e protezione ai batteri in dei noduli prodotti a livello delle radici ed i batteri “pagano l’ affitto” fissando l’azoto dall’atmosfera, un nutriente importante per le piante. Una pianta ospita solitamente numerose colonie formate spesso da differenti ceppi di rizobatteri.
Tuttavia la simbiosi non è un contratto vincolante e quindi non è senza diffidenza e tentativi di raggiro. Può infatti capitare che alcune colonie batteriche ritengano che valga la pena tentare di truffare la pianta fissando meno azoto rispetto ad altri ceppi, pur godendo di tutti i benefici che lo scambio prevede. Tuttavia, anche se barare può dare un vantaggio, c’è sempre il rischio di esser scoperti… Infatti la pianta può punire questo comportamento con provvedimenti più o meno severi che spaziano dal ridurre il flusso di risorse al soffocare i ceppi di rizobatteri particolarmente poco produttivi.
Ma cosa c’entriamo noi con tutto questo?
In agricoltura è uso introdurre le leguminose nella rotazione delle colture per arricchire il suolo di azoto, proprio sfruttando a nostro vantaggio la simbiosi coi rizobatteri ed il dispotismo nei loro confronti che massimizza il beneficio in termini di fertilità.
La tesi sostenuta da Toby Kiers è che gli esseri umani, attraverso il miglioramento genetico condotto per decenni in campi sperimentali fertilizzati, possano aver alterato i meccanismi usati dalle piante per punire i rizobatteri pigri riducendo enormemente i benefici legati alla coltivazione di colture come soia, medica, fagiolo e via dicendo. Le cultivar moderne, sviluppate dalla green revolution in poi, sono state selezionate per le alte rese e pensate per esser coltivate in condizioni nutrizionali ideali, il che le ha portate ad essere più “viziate” rispetto alle loro antenate e non riescono a massimizzare il beneficio ottenibile dalla simbiosi. Questo ha inavvertitamente portato ad una maggiore proliferazione e colonizzazione dei suoli da parte dei ceppi batterici meno efficaci. Anche Crews Tim, un ecologo del Prescott College in Arizona è d’accordo con questa teoria e ha dichiarato: “il plant breeding moderno ha permesso a questi meccanismi di scivolare attraverso le crepe”. La conseguenza più evidente e tangibile per l’ uomo è la crescente necessità di inoculare i suoli agrari con ceppi selezionati per avere ancora un beneficio, in termini di fertilità, dalla coltivazione delle leguminose.
Per valutare il danno ecologico legato al miglioramento genetico, Toby Kiers e il suo team hanno testato sei cultivar di soia sviluppate in un arco di tempo di 60 anni. La ricerca era focalizzata sull’interazione della pianta con popolazioni pure e miste di rizobatteri. Le prime contenevano un solo ceppo batterico mentre le popolazioni miste erano formate da diversi ceppi che spaziavano da poco a molto efficienti nella fissazione dell’ azoto. La differenza tra il rendimento ottenuto con una popolazione pura e con una mista riflette la capacità di una cultivar di massimizzare i benefici legati alla simbiosi punendo i ceppi che lavorano male.
Le piante sono state in grado di riconoscere e punire le colonie meno produttive?
I risultati hanno mostrato chiaramente una migliore performance delle cultivar più antiche, coltivate in assenza di fertilizzazione e quindi più severe nel selezionare i loro partner commerciali. Le cultivar più recenti, invece, si sono abituate a crescere in condizioni di abbondanza e sono risultate meno preoccupate di mantenere il processo efficiente.
Quali possono essere le conseguenze?
Il rischio è che la soia moderna, ed eventualmente altre colture, possano essere adesso meno adatte in quelle situazioni, come ad esempio l’ agricoltura estensiva con investimenti minimi che caratterizza la maggior parte dei terreni agricoli nei paesi in via di sviluppo, in cui la ridotta accessibilità ai fertilizzanti e ad altri mezzi richiede di massimizzare l’ efficienza d’ uso delle risorse. Questo dovrebbe essere un campanello d’allarme per i ricercatori di tutto il mondo a pensare sempre a tutte le implicazioni che può avere una nuova varietà e a prendere in considerazione anche le relazioni ecologiche che avvengono in campo durante il processo di miglioramento genetico.