
Nei giorni scorsi a Cork (Irlanda) si è tenuto il convegno “Cork 2.0 European Conference on Rural Development”, che segue il primo convegno tenutosi nella stessa località 20 anni prima. L’evento ha dato origine ad una dichiarazione finale dal titolo “A Better Life in Rural Areas”, che esprime una serie di opinioni in materia di sviluppo delle aree agricole che i partecipanti al convegno sottopongono ai legislatori dell’Unione Europea. Il documento è interessante e tocca varie tematiche, vorrei soffermarmi per esprimere la mia opinione su alcuni aspetti.
L’agricoltura continua ad essere un settore fondamentale dell’UE, e lo è per svariate ragioni. La prima, la più antica, la più fondamentale, quella che ogni tanto dimentichiamo e che quasi riteniamo “superata” è che l’agricoltura produce il cibo che mangiamo ogni giorno. L’agricoltura poi dà lavoro a molte persone: una volta erano famiglie di braccianti, oggi è più facile che in campo ci sia un operaio e che più persone siano impiegate in ufficio alla ricerca di nuove soluzioni e tecnologie per migliorare le produzioni. Oltre a queste due funzioni, l’agricoltura ultimamente è stata individuata dalle politiche comunitarie come il settore responsabile della conservazione dell’ambiente naturale e del paesaggio.
Le aree rurali, nonostante un consumo di suolo che viaggia a ritmi galoppanti, rimangono la maggior parte della superficie europea e mondiale, e sono i loci amoeni in cui ci rifugiamo appena possiamo scappando dal grigiore della città. Pensiamo – rimanendo in Italia – ad esempio ai pascoli alpini dell’Alto Adige, alle colline toscane, ai vigneti del Monferrato, ai fontanili della Bassa Padana. Il paesaggio rurale è multiforme, e tutti ce ne compiaciamo quando è ben curato, ma mantenerlo richiede impegno, tempo e pecunia. L’azienda agricola, che ha – come ogni azienda – l’obiettivo di vendere ciò che produce generando un profitto, se deve sottrarre impegno, tempo e pecunia alle sue attività per prendersi cura dell’ambiente e del paesaggio, sarà meno efficiente e ridurrà la sua marginalità.
Chi ha potuto nel passato si è trasferito dalle campagne verso le città, lasciando le aree rurali sguarnite. Prima erano in molti a prendersi cura del territorio, ora sono rimasti in pochi. E rimanendo in pochi anche i servizi sono diminuiti di conseguenza, invogliando anche questi pochi sempre più alla fuga. Come fare in modo che qualcuno rimanga, che la vitalità delle aree rurali si conservi, e che anzi, si sviluppi fornendo servizi al territorio quali il mantenimento del paesaggio, l’agri-ospitalità, l’agri-didattica ecc.?
Penso che servano principalmente tre cose: pecunia, infrastrutture e semplificazione normativa.
Pecunia, perché dobbiamo colmare la riduzione di margine che le aziende devono fronteggiare se sono chiamate a fare altre attività che non sono nel loro business.
Infrastrutture, perché in un agriturismo internet serve (poi se uno non lo vuole non lo usa), e comunque perché l’agricoltore 2.0 deve essere connesso. Infrastrutture perché se chiediamo all’agricoltore di mantenere curato un bosco in quota deve avere una strada per andarci con dei mezzi adeguati.
È poi necessaria una semplificazione normativa, perché troppe volte l’agricoltore si trova di fronte ad astruse procedure di richiesta fondi o di autorizzazioni, procedure che portano via molto tempo e che spesso fanno passare la voglia di impegnarsi.
Speriamo che il legislatore, spesso obnubilato dal troppo idealismo, vada invece in questa direzione, e non si dimentichi che il ruolo principale dell’azienda agricola è quello di produrre derrate alimentari.