
Ricevo una foto da un amico. C’è il Vesuvio. Però, non è la tipica foto cartolina che ricevo, ogni tanto, da qualche amico un po’ nostalgico. “‘Sta casa aspetta a te. Quando torni?”. No. Il Vesuvio è avvolto dalle fiamme. “I roghi sembrano venire anche dalla tua zona” aggiunge. Mi scuso con i miei colleghi ed esco chiudendomi la porta alle spalle. Mi attacco al telefono e raggiungo mio fratello. “Cosa succede?”. È in un treno diretto per Napoli. Il fuoco è vicinissimo a casa nostra e servono braccia per arginarlo.
Non mi sembra vero. Eppure, fiamme provenienti da diversi inneschi in diversi comuni vesuviani si sono uniti in un enorme incendio che sta divorando, metro dopo metro, il Parco Nazionale del Vesuvio. Abitazioni evacuate, pompieri, Canadair, disperazione, ritardi nei soccorsi, aria irrespirabile e tutto quello di cui avete già (credo) letto e sentito.
Questo articolo è uno sfogo. Poco importa se si confonderà tra la marea di post, blog e bufale circolate in questi giorni sui roghi del Vesuvio. Tra queste (e proprio non ce la faccio a non citarla) quella leggendaria sui gatti torcia utilizzati come propaguli moventi (e miagolanti) delle fiamme. Non mi fraintendete. I gatti sono adorabili ma anche se vero, non credo sia questo il punto. Da manuale poi, e qui si passa alla storia, quella dei contadini piromani che avrebbero appiccato incendi per rinnovare i pascoli (forse intendono il poeta?) per il loro bestiame (???). Se sul Vesuvio ci sono pascoli, io coltivo cocomeri in Lapponia. Ovviamente 100% organic.
Scusate l’ironia, ma di bufala ne apprezzo solo i prodotti caseari.
Scherzi a parte, dopo tutto questo scempio sono molte le domande che mi faccio. E sono domande che ci stiamo facendo tutti.
Da Vesuviano mi domando quanto abbia contribuito alla mancata prevenzione e all’intervento tardivo la riorganizzazione del Corpo Forestale dello Stato. È vero. Gli incendi nel parco Nazionale del Vesuvio (ed altrove) ci sono sempre stati. Anche quando c’era il Corpo Forestale. Ecco, appunto. Non sarebbe stato meglio implementarlo, rinvigorirlo, piuttosto che scioglierlo e riorganizzarlo in un altro corpo armato per un operazione di razionalizzazione della spesa pubblica? Ma poi, a fronte di quale risparmio? Questo è discutibile. E poi si sa, come si dice all’ombra del Vesuvio ‘O sparagno nun è maje guaragno (Il risparmio non è mai guadagno).
Da Vesuviano mi domando cosa accadrà dopo che l’attenzione mediatica andrà scemando, affievolendosi per poi sciogliersi come una granita gocciolante sotto il sole d’Agosto. Se a questo corrisponderà un`attenzione altrettanto affievolita da parte delle istituzioni e di chi questo Parco Nazionale lo deve proteggere e preservare. Se avranno la lungimiranza di investire in un progetto di prevenzione a lungo termine e di non cedere alla tentazione di rispondere con piani di emergenza e soluzioni frettolose e pasticciate (che di lungimirante avranno ben poco) soltanto per dar qualcosa in pasto all’opinione pubblica, ancora allarmata, scandalizzata ed assetata di vendetta.
Da Vesuviano mi domando se questa catastrofe sia almeno servita a qualcosa. Se sia servita a farci ricordare (perché lo sappiamo già) che non esiste un piano d’evacuazione in caso di catastrofi ben più grandi (sapete a cosa mi riferisco e tocco ferro). Se sia servita a destarci dal torpore e a non dar per scontato la bellezza dei paesaggi che ci circondano. Oppure, più semplicemente, se sia servita a rendere miserabile chi utilizza il Parco Nazionale prima come area da picnìc e poi come discarica dei propri rifiuti (ogni maledetta Pasquetta).
Il mio pensiero va ai Vesuviani che in questi giorni hanno lottato. I volontari, i cittadini e i familiari che hanno preso in braccio pale e secchi e si sono dati da fare.
Fin quando ci saranno loro, non sarà soltanto cenere.