Come non vorrei l’Agricoltura biologica Agricoltura

Parliamo un po’ di agricoltura, in particolare della cosiddetta “Agricoltura biologica” ed analizziamo alcune critiche che le si rivolgono.

Nonostante la pluralità di significati attribuiti al termine “biologico”, mi risulta ancora poco chiaro il motivo per cui un modo di coltivazione, con pregi e difetti, abbia potuto utilizzare un termine così fuorviante. Forse perché il termine vuol essere una sorta di marchio commerciale piuttosto che un riferimento al metodo produttivo?  L’Agricoltura per definizione, sia essa Biologica o Integrata, si fonda sui cicli biologici, come qualsiasi processo che vede la “vita” protagonista.

Entriamo nel merito della faccenda. L’origine socio-culturale e la ragion d’essere del “Biologico” si può anche ricercare e trovare nelle conseguenze dell’abuso di sostanze e strumenti che dall’epoca della Rivoluzione verde la Ricerca mise a disposizione dell’agricoltura. L’uso irrazionale, ad esempio, di sostanze di sintesi da una parte permise comunque un incremento sostanziale delle produzioni agricole e la riduzione del lavoro manuale, dall’altro pose i primi mattoni del “debito ecologico”, influenzando negativamente sia la resilienza degli agroecosistemi quanto l’integrità degli ecosistemi naturali.  Successivamente, e a pancia piena, si incominciò ad interessarsi all’Ambiente e ai problemi di natura ecologica che l’agricoltura intensiva aveva contribuito a creare.

Su un humus di sana impronta ecologica nacque nella società una certa avversione generalizzata verso i modelli intensivi di agricoltura, poichè spesso connessi a sbagliate pratiche agricole e in tal modo, sempre a pancia piena, prese piede un fenomeno cognitivo strettamente collegato alla negativa percezione del presente, che sfocia nel cosiddetto pessimismo nostalgico o retrospezione rosea, in soldoni il “si stava meglio quando si stava peggio”.

Questo bias logico, affiancato al progressivo disinteresse e avversione nei confronti della Scienza e del suo “metodo”, ha prodotto un clima in cui si è innestato un fenomeno riconducibile anche all’attuale Agricoltura biologica per mezzo di un’idealizzazione del contesto, delle pratiche e delle funzioni del mondo agricolo.

Dare più peso alle opinioni piuttosto che ai fatti accertati significa essere contrari al “metodo scientifico”. E in una società a bassa formazione scientifica significa anche veicolare più facilmente pregiudizi a fini politici o commerciali.

Tornando all’ Agricoltura biologica alcuni pregiudizi insiti del suo “disciplinare” si fondano sulla “non-scienza”, che trova massima espressione in alcune affini tipologie di agricoltura, come quella Biodinamica®, che addirittura alle paure irrazionali vi aggiunge pratiche magiche.

A titolo esemplificativo il non voler valutare un principio attivo per le sue proprietà intrinseche (tossicità, persistenza, bioaccumulabilità etc.), ma unicamente per il suo metodo produttivo, che in agricoltura biologica deve essere rigorosamente “non di sintesi”, è un assunto che mi fa prendere le distanze da questo genere di impostazione. In questo caso, Agricoltura biologica non ha metro di giudizio razionale, cioè scientifico. Infatti un prodotto naturale (anche se il termine “naturale” non significa alcunché) non è necessariamente meno pericoloso di uno di sintesi. Serve una valutazione oggettiva, “caso per caso”.  Emblematico il caso del rame e del rotenone.

Come conclusione vorrei porre l’attenzione sulla sterile e dannosa contrapposizione delle diverse agricolture cui spesso assistiamo in ragione dell’unicità della definizione, proposta dall’Accademia dei Georgofili, secondo la quale è “Agricoltura” la gestione e la tutela razionale delle risorse produttive e rinnovabili della biosfera.


Pietro Bertolotto

Classe ’92. Dopo gli studi classici mi sono laureato presso l’Università di Pisa prima in Scienze agrarie e poi in Produzioni agroalimentari e gestione degli agroecosistemi.

I miei interessi spaziano dallo studio degli agrosistemi alla tutela dell’Ambiente in relazione alla conservazione della Natura. In particolare, durante il percorso accademico mi sono occupato di analisi faunistico-ambientali in varie aree naturali protette ed ho valutato l’impatto ambientale causato dalla fauna ungulata sia a danno degli agroecosistemi sia a carico degli ecosistemi naturali.

Colgo l’occasione del Blog dei Georgofili  per aprire dibattiti costruttivi su vari argomenti di interesse.

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Commenti

  1. Pietro Bertolotto Pietro Bertolotto Dice: maggio 11, 2016 at 7:59 am

    Riporto parte di dibattito esterno al blog:

    – commentatore A: potresti spiegare meglio in cosa consiste il caso emblematico del rame e del rotenone?

    – Pietro: Molto volentieri: dunque il Rame e il Rotenone sono due semplici e chiari esempi che stanno ad indicare come l’assunto fondante dell’Agricoltura biologica “prodotto di origine naturale = buono” e “prodotto di origine sintetica =dannoso” sia assolutamente privo di valore scientifico. Il Rame è un metello pesante tossico per tutti gli organismi che si accumula nel suolo, usato tranquillamente in Agr. BIO. (certo con massimali accumulabili nel triennio per ettaro, ma si usa) quando, in alcuni casi, si potrebbero adoperare come antifungini acuprici di sintesi. Il caso del Rotenone (che ti consiglio di andare a cercare) è pazzesco: fino a pochi anni fa veniva usato in Agr. Bio. come acqua santa in ogni dove (perchè prodotto naturale, estratto da radici di leguminose, quindi necessariamente buono) poi ci si è accorti che ha un impatto ambientale devastante ed è stato bandito. Mi spiego meglio: in molti casi si fa fede a pregiudizi laddove si dovrebbe operare solo tramite metodo scientifico. E se vogliamo estremizzare e prenderla con ironia si può anche dire che tutti i funghi sono prodotti naturali, ma alcuni si possono magiare una sola volta…

    – commentatore A: grazie delle delucidazioni. sì, effettivamente l’agricoltura “biologica” nel mercato è percepita in modo distorto. in termini generali mi viene da pensare che mediamente i prodotti di origini biologici rimangano comunque più sostenibili per l’ambiente e per il nostro organismo rispetto a quelli non biologici. poi la varianza in ognuno dei due mondi è sicuramente ampia.

    – Pietro: Ti prego di considerare anche un altro aspetto, a mio avviso non trascurabile. L’Agr. Bio. ha rese unitarie inferiori all’integrato di almeno del 30%. In termini agronomici ciò significa che per avere la stessa produzione bisogna consumare più suolo e quindi convertire più ecosistemi naturali in agricoltura (ed oggi non vi è più SAU disponibile a livello mondiale). Inoltre ti prego di riflettere sul fatto che la maggior parte delle superfici biologiche sono pascoli o coltivazioni che di per sé non hanno bisogno di altro. Voglio dire: da millenni sono state bio senza saperlo e senza poter prendere gli incentivi! Tutte le peer review finora prodotte hanno dimostrato che non c’è differenza sostanziale a livello salutistico tra prodotti bio e integrati. Anzi, il mais biologico talvolta contiene ordini di grandezza maggiori di fumonisine rispetto all’integrato e al mais bt.

    – commentatore B:Tuttavia non è nemmeno possibile ridurre l’agricoltura biologica alla sola applicazione di fitofarmaci “naturali” o di sintesi. Divulgare è fondamentale ma semplificare non fa bene nè all’agricoltura bio nè a quella “convenzionale”. Il percorso di comunicazione di tutto il settore agricolo è ancora ai primordi (e chissà se il consumatore ha voglia di ascoltare).

    – Pietro:mi spiace ma a semplificare non sono certo io. Se vuoi ti porto mille esempi per mettere a nudo molte delle contraddizioni e delle ideologie, ahimè, insite nella mentalità “biologica”. Vogliamo parlare della chiusura netta verso i prodotti geneticamente modificati? Uno dei più gravi pregiudizi della nostra società, che ha condotto al divieto di RICERCA PUBBLICA! Una sana Agricoltura biologica avrebbe il dovere di distinguere “caso per caso” le singole applicazioni, invece di arroccarsi in un dannoso castello di ideologie politiche

    Commentatore B: non credo che sia colpa del bio la chiusura agli Ogm (e sono d’accordo con te che i biologici abbiano pregiudizi). In ogni caso, ripeto, l’approccio biologico (quello delle verde aziende bio) non è semplice rifiuto della chimica. L’agricoltura biologica punta alla fertilità fisica e microbiologica del terreno, mettendo in secondo piano gli aspetti chimici. Si tratta di un modo completamente diverso di intendere l’organizzazione aziendale e colturale.

    Pietro: Mi duole sottolineare alcuni punti che reputo non secondari. 1) da sempre l’Agr. bio. si è dichiarata contraria ad ogni forma di ingegneria genetica per il miglioramento varietale 2) puntare sulla fertilità di tipo fisico e microbiologico è un obiettivo delle “buone pratiche agricole” in generale (non credo sia una esclusiva della Agr. bio). Il rifiuto alla chimica è puerilmente stupido, se non dannoso.Il punto centrale è, come ho scritto nell’articolo, la sterile contrapposizione (che molto spesso antepone interessi particolari a quelli generali) tra le varie forme di agricoltura. L’Agricoltura dovrebbe essere UNA sola, ovvero quella che risponde alla definizione “la gestione e la tutela razionale delle risorse produttive e rinnovabili della biosfera

    commentatore B: Pietro, su 1) sono d’accordo in pieno, il 2) non lo darei così per scontato (e poi agricoltura bio non rifiuta la chimica). Comunque credo che non ci stiamo capendo. Siamo quasi d’accordo ma vediamo le stesse cose da due punti di vista differenti.

    Pietro: Beh, il punto 1) è un dato direi “oggettivo”, e non un’opinione. Il punto 2) invece andrebbe affrontato più a fondo, ma non è questo lo spazio.Inoltre quando ho scritto “chimica” ho sempre inteso quella di “sintesi” che l’Agricoltura biologica rifiuta tout court. A mio avviso, non ci dovrebbe mai essere un abuso, come neppure una chiusura totale: buon senso e razionalità sarebbero più che sufficienti. Non credi?Faccio solo un riferimento al punto 2) perché quando assisto a certe situazioni sto intimamente male. So di Imprenditori agricoli che non hanno potuto e non possono distribuire il letame perchè PESA e consuma troppo gasolio. E con i tempi di crisi, sai bene che vuol dire. Il problema dell’agricoltura ha quindi talvolta problemi di origine economica, ma la volontà ci incrementare la fertilità fisica, di cui tu giustamente accenni, c’è eccome!

    commentatore C: Articolo veramente interessante e ben argomentato, come pure il vivace ma costruttivo dibattito che ne è seguito. Dovrebbe far riflettere al frase “in una società a bassa formazione scientifica significa anche veicolare più facilmente pregiudizi a fini politici o commerciali”. Credo sia un punto cruciale della questione.

    Pietro:
    uno studio interessante:
    Conclusion:
    “When critical scientific analysis is applied to organic farming, the dogma of superiority of organic farming fails. Despite their aim of being more sustainable, organic principles do not provide a better long-term outcome in the search for sufficient food production than conventional ones. We advocate flexible approach where farming systems are designed to meet specific environmental, economic, and social goals, unencumbered by unscientific, dogmatic constraints” https://lnkd.in/dN7eYTx

    pietro: Molti stentano a capire che Agricoltura Biologica non è affatto una certificazione di PRODOTTO, bensì è una certificazione di PROCESSO. Sotto questa luce, sarebbe più corretto scrivere e dire “prodotti ottenuti da agricoltura biologica” anziché “prodotti biologici”…

  2. Pietro Bertolotto Paolo Grossi Dice: aprile 23, 2015 at 10:07 am

    Condivido in pieno.
    Purtroppo nella comune visione dell’agricoltura, spesso basata sul sentito dire e quasi mai su questioni tecnico-scientifiche, il “biologico” è spesso contrapposto al “chimico”. Pochi conoscono il reale significato dei due termini, pochi sanno che tutto è biologico e tutto è chimico e in qualsiasi discussione ci si trincera dietro questi due termini contrapposti.
    Sarebbe ora di sdoganare le due parole e di cominciare a parlare della realtà, ad esempio del corretto uso dei fattori di produzione, qualunque essi siano.

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